Terza causa di mortalità nei paesi altamente industrializzati, dopo cancro e miocardiopatie, le malattie autoimmuni presentano ancora molti lati oscuri per quando riguarda la loro eziologia e non basta l’inflazionata frase “le malattie autoimmuni hanno una eziologia multifattoriale”
Seppure si possa concordare con questa affermazione, più prettamente didattica che tecnica, quello che deve essere ancora a fondo compreso è chi, tra i numerosi fattori, detiene lo “starring role” che innesca il fenomeno autoimmune.
E nemmeno bisogna fare confusione tra una patologia ad eziologia multifattoriale, come quella autoimmune, e quella causata da fattori eziologici concorrenti, come nel caso di patologie di origine batterica, nelle quali l’agente responsabile, noto, trova le condizioni per esplicitare il proprio potere patogeno.
In letteratura sono disponibili molteplici interessanti articoli sulla vitamina D, la “Vitamina del Sole” e sui rapporti tra questa e le malattie Autoimmuni o meglio su alcune malattie autoimmuni.
Tre quesiti fondamentali necessitano di una risposta per restringere la problematica:
• E’ veramente efficace la Vitamina D nelle Malattie Autoimmuni, come si evince dalle evidenze sperimentali sugli animali?
• Deficit di Vitamina D sono “responsabili” di malattie autoimmuni come Diabete Mellito di Tipo 1 (DM1) , Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (IBD) e Lupus Eritematoso Sistemico (LES) ?
• Quali concentrazioni di Vitamina D risultano efficaci per ridurre il rischio di Sclerosi Multipla?
Prima di argomentare possibili risposte è bene tenere presenti alcuni importanti passaggi biochimici per quanto riguarda i rapporti tra vitamina D ed omeostasi del calcio.
Il rene gioca un ruolo fondamentale nel metabolismo della Vitamina D. Il 7-deidrocolesterolo, prodotto nella cute sotto l’azione della luce ultravioletta, subisce la rottura di un legame carbonio-carbonio, aprendo l’anello del nucleo steroideo con la formazione di colecalciferolo (Vitamina D). Questa sostanza mostra di possedere attività biologica come vitamina antirachitica, ma nel fegato è idrossilata in posizione 25, sulla catena laterale, dando luogo al 25-OH-D, una forma di vitamina D. Questo ormone steroide svolge il suo effetto primario sull’intestino, dove promuove l’assorbimento del calcio ma agisce anche sull’osso favorendo la deposizione dei sali di calcio e, impedendo quindi il rachitismo. Nel rene, l’ 1,25-(OH)2-D, agisce sui tubuli diminuendo il riassorbimento dei folati.
Macrofagi, cellule dendritiche e recettori della Vitamina D
L’enzima che trasforma la Vitamina D nel rene è espresso anche nei macrofagi attivati e nelle cellule dendritiche (APC). A differenza di quanto accade nelle cellule renali, nelle APC l’enzima non viene soppresso dall’ormone paratiroideo né dalla Vitamina D, e questo è un elemento di grandissima rilevanza.
Nelle APC infatti, l’enzima è inducibile da altri fattori, primo fra tutti l’INF-ƴ.
In condizioni normali, ossia in condizioni con livelli circolanti sufficienti, la vitamina D agisce sulle citochine da un lato impedendo la produzione delle citochine proflogogene (IL-2 e INF-ƴ) e dall’altra promuove, amplificandolo l’effetto delle citochine anti-infiammatorie (IL-5 e IL-10). In sintesi, la Vitamina D impedisce l’instaurarsi di quelle condizioni favorenti patologie infiammatorie e, in senso lato, autoimmunitarie.
Altro aspetto interessante della Vitamina D è l’azione di controllo da essa esercitata su alcuni geni, che regolano l’apoptosi, la proliferazione e la differenziazione cellulare.
Vitamina D e Malattie Autoimmuni
Alcune domande:
• Ha senso e, soprattutto, quando ha senso richiedere il dosaggio della vitamina D?
• Quali sono i valori da considerare normali?
• Per la “salute” delle ossa la concentrazione viene fissata tra i 30-40 ng/mL. In caso di deficit della vitamina D, quando dobbiamo allertarci e sospettare che è un segno di malattia autoimmune?
• Come riconoscere un deficit di Vitamina D predittivo di patologia autoimmune?
Artrite rematoide
Il medico visita per la prima volta un paziente e si trova di fronte a queste possibilità:
a. Esistono segni aspecifici di difficile inquadramento clinico per sospetta patologia reumatica.
Questo è in genere il quadro più frequente caratterizzato da assenza di segni evidenti o, al massimo, da dolenzia osteo-articolare discontinua, migrante, recidivante, plurilocalizzata. Ciò comporta difficoltà di fare diagnosi di artrite reumatoide, mancando quei segni che possano indirizzarlo in maniera specifica.
b. Il paziente riferisce due o più segni che fanno sospettare al medico di trovarsi di fronte ad una patologia reumatica.
Il medico prescrive esami diagnostici tendenti a valutare alterazioni di indici infiammatorie tra cui il fattore reumatoide (FR). A parte la presenza di aspecifici indici, di solito, come noto, il FR risulta assente. Di fronte a questa possibilità il medico può:
1. Richiedere approfondimento diagnostico per gli anticorpi anti citrullina e nel caso di positività fare diagnosi di artrite reumatoide.
2. Ritenere suplerflui ulteriori accertamenti e procedere subito con la terapia.
3. Restare in attesa che si positivizzi FR.
Come pensare di chiedere, nelle situazioni sopradescritte, il dosaggio della vitamina D per valutare un eventuale deficit implicato in una patologia autoimmune come AR? In più, se il paziente è anziano e mostra calcemia bassa, il sospetto diagnostico ricade molto probabilmente su patologie legate all’età come nel caso dell’osteoporosi.
Il dato osservazionale che nelle patologie autoimmuni vi sia una carenza di Vitamina D e senz’altro interessante ma in genere non basta.
Negli ultimi decenni molti studi si sono concentrati su questo argomento per dare una risposta a queste domande e migliorare la prevenzione.
Un primo studio del 2004, supportando l’idea che la vitamina D svolga un ruolo importante nell’impedire l’AR, ha esaminato circa 30.000 donne di età 55-69 anni , senza precedenti e senza segni clinici di AR. Le donne sono state monitorate per 11 anni attraverso differenti accertamenti, compreso il controllo dei livelli di vitamina D, e, di queste, 152 hanno sviluppato la malattia. I risultati dei ricercatori erano indicativi di un rischio aumentato per AR in donne più anziane con i più bassi livelli di vitamina D, ma i ricercatori hanno ribadito che i risultati erano soltanto preliminari.
Uno studio recentemente pubblicato sul Journal of Rheumatology suggerisce che il riscontro di ipovitaminosi D potrebbe essere predittivo di una maggiore attività e di una maggiore severità di malattia in pazienti con artrite reumatoide all’esordio. Non solo: un deficit di vitamina D iniziale potrebbe essere anche predittivo di una più rapida progressione radiografica di malattia in questa popolazione di pazienti.
Sono numerosi gli studi che hanno identificato alcuni fattori prognostici associati con un outcome radiografico peggiore: erosioni precoci, livelli elevati di reattivi di fase acuta o di fattore reumatoide (RF) o anticorpi anti-citrullina (ACPA). Non solo: alcuni fattori ambientali, come ad esempio il tabacco, giocano un ruolo essenziale nella patogenesi dell’AR.
In questo contesto, alcuni studi hanno postulato un possibile ruolo predittivo anche dei livelli sierici di Vitamina D, come suggerito dall’esistenza di un gradiente di prevalenza nord-sud dell’AR.
Sclerosi multipla
La sclerosi multipla (SM) è caratterizzata dall’aggressione delle cellule infiammatorie ai danni del rivestimento mieleinico che circonda le fibre nervose.
In un interessantissimo articolo pubblicato sulle Scienze gli autori ( White – Luz – Tevera- Mendoza) riportano:
“ L’incidenza della sclerosi multipla è significativamente maggiore nelle aree più lontane dall’equatore – Nord America, Europa e Australia – e prove convincenti suggeriscono che questa diffusione regionale derivi dalla ridotta esposizione ai raggi UVB. Anche la progressione della malattia e la comparsa dei sintomi mostrano variazioni stagionali ben note, per cui la maggiore attività della malattia si osserva in primavera (quando i livelli della 25 Vit. D nel sangue sono minimi dopo l’inverno) e la meno elevata in autunno, dopo la crescita esponenziale estiva della D3. Ad esempio, studiando 79 coppie di gemelli omozigoti, scienziati dell’Università della California a San Diego hanno scoperto una correlazione inversa fra la maggiore esposizione al sole durante l’infanzia e il rischio di sviluppare sclerosi multipla. I gemelli che avevano trascorso più tempo all’aria aperta da bambini mostravano un rischio inferiore addirittura del 57% di sviluppare sclerosi multipla nel corso della vita. E più avanti nell’articolo ….Uno studio della Harvard School of Public Health ha esaminato campioni di siero prelevati a sette milioni di militari statunitensi, analizzando anche le cartelle cliniche per vedere chi di loro avesse sviluppato la sclerosi multipla tra il 1992 e il 2004. E’ stato trovato un rischio significativamente inferiore di sviluppare la malattia in fase tardiva nel gruppo che, all’epoca del prelievo, presentava elevati livelli serici di 25 Vit. D. I soldati con concentrazioni di 25 Vit. D superiori a 40 ng/mL avevano un rischio inferiore del 62% rispetto ai soldati con concentrazioni di 25 ng/mL o inferiori”.
Diversi studi hanno analizzato il rapporto tra Vitamina D e SM. Ad oggi, sia il ruolo nella patogenesi della SM, sia l’eventuale effetto terapeutico di una somministrazione ad alte dosi, devono ancora essere confermati.
Alcuni studi (vedi Bibliografia) hanno suggerito che bassi livelli di Vitamina D* sono associati a un maggiore rischio di SM: un’indagine condotta su 7 milioni di soggetti residenti negli USA, ha evidenziato una riduzione del 41% del rischio di sviluppare SM nei soggetti caucasici ad ogni aumento di Vitamina D. Risultati ancor più significativi sono emersi considerando i soggetti di età inferiore ai 20 anni.
Ciò supporta la tesi che l’esposizione a specifici fattori ambientali nell’infanzia e nell’adolescenza possa avere un ruolo nella patogenesi della malattia. Tali studi necessitano di approfondimenti al fine di chiarire e identificare l’eventuale influenza di altri fattori ambientali, come l’esposizione alle radiazioni UVB, il fumo di sigaretta, il body mass index (BMI).
Controversa anche la possibilità che i livelli di vitamina D possano influenzare l’attività clinica e radiologica di malattia. Alcuni studi (vedi Bibliografia) condotti su piccoli gruppi di persone hanno dimostrato come l’aumento di Vitamina D sia associato ad una riduzione del rischio di ricadute e ad una riduzione di nuove lesioni alla risonanza magnetica encefalica. Ampi studi randomizzati , accanto ad alcune meta analisi, disegnati per valutare il possibile effetto benefico della somministrazione di Vitamina D ad alte dosi nella dieta di persone con SM, non hanno però confermato tali effetti positivi. Attualmente sono in corso diversi studi condotti sulle forme recidivanti-remittenti con lo scopo di valutare l’attività della Vitamina D sulla frequenza di ricadute.
Per concludere, una meta-analisi condotta da Michael Allan – direttore del programma di Evidence Based Medicine presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Alberta, in Canada – pubblicata su Journal of General Internal Medicine nel luglio 2016 – ha analizzato numerosi studi condotti a partire dal 2014 sull’ipotesi che l’assunzione di Vitamina D possa prevenire un certo numero di patologie, tra cui cancro, depressione e sclerosi multipla.
Dalla valutazione dei lavori è emersa una qualche prova scientifica dell’utilità della Vitamina D nel diminuire il numero di fratture, ma le conclusioni generali smorzano tuttavia le aspettative: “l’entusiasmo riguardo la Vitamina D come panacea dovrebbe essere attenuato” dicono i ricercatori.
Bibliografia
1. Mouterde G et al. Association between vitamin D deficiency and disease activity, disability, and radiographic progression in early rheumatoid arthritis. The ESPOIR cohort [published online December 15, 2019]. J Rheumatol. doi: 10.3899/jrheum.190795
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Medical Systems propone per i dosaggio della Vitamina D il KIT Snibe su piattaforma Maglumi
25-OH Vitamina D MAGLUMI – Dati Tecnici
Valori di Riferimento Intervallo di Linearità Sensibilità analitica Tempi incubazione Volume Campione Standard WHO
30 – 100 ng/mL 3 – 150 ng/mL 3 ng/mL 40 minuti 100 μL NIST SRM 972a
Il kit è stato progettato per la determinazione quantitativa della vitamina D 25-OH nel siero umano.
Il metodo può essere utilizzato per campioni nell’intervallo da 3,0 a 150 ng / ml.
Il test deve essere eseguito sugli analizzatori di immunometria chemiluminescenza completamente automatico MAGLUMI (CLIA)