I test di resistenza ai farmaci antiretrovirali (HIV)

“I test di resistenza ai farmaci antiretrovirali (HIV) hanno guidato in modo essenziale lo sviluppo e il progresso dei farmaci contro questa grave infezione. Sono divenuti una componente essenziale della gestione clinica e rappresentano un ottimo esempio di integrazione tra laboratorio e clinica”. E’ quanto affermato oggi dalla D.ssa Maria Rosaria Capobianchi, Membro del Consiglio Direttivo AMCLI e Direttore del Laboratorio di Virologia dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “L. Spallanzani” di Roma nel corso della sessione “Update sui test di resistenza ai farmaci antivirali”, tenutasi a Rimini nell’ambito del Congresso nazionale AMCLI. Rispetto ad alcuni anni fa, proprio grazie a questa integrazione il fallimento terapeutico ha ridotto notevolmente il suo impatti così come – diversamente da quanto si verifica in ambito batteriologico – si è fortemente contratta la quota dei ceppi di HIV resistenti trasmessi.
“L’esempio del modello di integrazione fra laboratorio e clinica offerto dalla storia delle terapie antiretrovirali indica che questo modello va fortemente sostenuto soprattutto nei riguardo degli aspetti che restano ancora da chiarire come il significato clinico delle mutazioni di HIV archiviate nel genoma delle cellule bersaglio, che sostengono la permanenza del virus nell’organismo anche in presenza di terapie efficaci” ha ricordato Pierangelo Clerici, Presidente AMCLI e Direttore dell’Unità Operativa di Microbiologia dell’Azienda Socio Sanitaria Territoriale Ovest milanese. “L’estrema potenza dei nuovi regimi terapeutici contro HCV e la possibilità concreta di eradicare il virus dai soggetti trattati rende meno rilevante per questa infezione il problema delle resistenze che tuttavia possono assumere rilievo in situazioni di fragilità clinica e in presenza di fattori che favoriscono il fallimento terapeutico e quindi prefigurano la necessità di ritrattamento con nuove combinazioni di farmaci” ha concluso Maria Rosaria Capobianchi.