Il test diagnostico per il Sars-CoV-2. L’esperienza della Corea del Sud.

Nel corso di un Meeting tenutosi in Corea del Sud il 27 Gennaio 2020 uno dei massimi funzionari del paese per le malattie infettive aveva lanciato un messaggio urgente: la Corea del Sud aveva bisogno immediatamente di un test efficace per rilevare il nuovo coronavirus, che stava dilagando in Cina, promettendo alle società produttrici di diagnostici una rapida approvazione normativa. La lungimiranza, che faceva prevedere una possibile pandemia, ha fatto la differenza. Infatti in quei giorni in Corea del Sud c’erano solo quattro casi noti. Una settimana dopo l’incontro del 27 gennaio, il CDC della Corea del Sud ha approvato il test diagnostico di un’azienda. E subito dopo quello di un’altra compagnia di diagnostici. Alla fine del febbraio 2020, la Corea del Sud aveva creato dei centri di screening drive-through ed era in grado di testare migliaia di persone ogni giorno. La rapida azione della Corea del Sud è in netto contrasto con quanto è emerso negli Stati Uniti. Sette settimane dopo la riunione i coreani hanno testato oltre 290.000 persone e identificato oltre 8.000 infezioni. I nuovi casi stanno diminuendo: novantatre sono stati segnalati mercoledì 18 Marzo, in calo rispetto a un picco giornaliero di 909 due settimane prima. Gli Stati Uniti, il cui primo caso è stato rilevato lo stesso giorno della Corea del Sud, non si avvicinano neanche a soddisfare la richiesta di test. Sono stati infatti effettuati circa 60.000 test in un paese di 330 milioni di abitanti. Quale conseguenza di questo, i funzionari statunitensi non comprendono appieno quanti americani sono stati infettati e dove sono concentrati – informazione cruciale per gli sforzi di contenimento. Come è stato commentato “Non puoi combattere ciò che non vedi”