Al giorno d’oggi non è ancora chiaro che rilevanza abbia la prognosi delle alterazioni nel liquido cerebrospinale (CSF) identificate nella malattia di Parkinson (PD) e nella demenza legata alla PD. D’altronde, l’identificazione di biomarcatori presenti nel CSF potrebbe aiutare a chiarire i processi di sviluppo della PD e nella ricerca di nuove terapie. Partendo da questi presupposti, Bӓckstrӧm e colleghi hanno verificato il valore diagnostico e prognostico di un gruppo di biomarcatori del CSF nei pazienti con PD in una fase iniziale o con patologie correlate. Per trovare le risposte, i ricercatori hanno effettuato una ricerca prospettica di coorte sul parkinsonismo idiopatico; i soggetti erano pazienti a cui era stato diagnosticata la patologia fra il 2004 ed il 2009 da un team specializzato nelle sindromi acinetico-ipertoniche nell’unica clinica neurologica di una regione specifica. Un totale di 128 pazienti con un parkinsonismo iniziale, ma non affetti da demenza, hanno preso parte alla ricerca che è seguita per un periodo comprensivo di 5 fino a 9 anni. Il CSF di 30 partecipanti sani è stato utilizzato come popolazione di controllo per l’analisi dei valori ottenuti. I risultati dello studio hanno evidenziato una potenziale utilità dei biomarcatori del CSF analizzati come strumenti diagnostici nei pazienti affetti da parkinsonismo; questi biomarcatori potevano essere usati per distinguere i pazienti affetti da PD da quelli sani con un’accuratezza diagnostica del 69%. Nelle persone affette da PD è stato riscontrata inoltre l’efficacia di due biomarcatori, la proteina low Aβ1-42 (proteina della catena leggera del neurofilamento ad elevato peso molecolare / high neurofilament light chain protein) e la proteina hFABP (high heart fatty acid-binding protein). Queste proteine sono risultate correlate infatti allo sviluppo successivo di PDD, dando spazio a nuove opinioni sulla eziologia delle PDD.
2 ottobre 2015