La variabilità fra gli individui di una popolazione è il presupposto dell’evoluzione. In questa maniera la selezione può scegliere il più adatto in un dato contesto. Il genoma che ci troviamo è derivato dalla nostra evoluzione sotto la pressione di forze in gran parte molto antiche, ma anche di altre che hanno operato negli ultimi millenni a seguito della colonizzazione dell’Homo sapiens dell’intero pianeta. Lo troviamo infatti nelle fredde steppe nordiche, nelle foreste pluviali dell’Africa e del Sud America, in regioni paludose e malariche, ad altitudini considerevoli negli altopiani dell’Himalaya, delle Ande dell’Etiopia.
La facilità con cui oggi riusciamo a sequenziale il genoma, ci ha permesso di documentare come queste diverse condizioni ambientali abbiano lasciato specifiche impronte sul genoma delle diverse popolazioni.
A questa variabilità se ne deve aggiungere poi una seconda introdotta spesso dal caso. Ognuno dei due gameti, ovocita e spermatozoo che determinano la formazione della cellula zigote, porta circa una cinquantina di mutazioni puntiformi non presenti nel genitore.
Ognuno di noi ha pertanto un “addetto”ereditario unico e la farmacologia deve tenerne conto.
Un farmaco può essere valido per un individuo e creare invece problemi in un altro.
Il discorso della specificità individuale dei farmaci si può estendere ai tumori . Se la variabilità tra gli individui è alta, la variabilità tra le cellule dello stesso tumore è elevatissima in quanto in queste cellule viene meno il freno che blocca l’eccessivo accumulo di mutazioni che interviene invece durante lo sviluppo embrionale.
Nei tumori si possono instaurare e accumulare mutazioni che conferiscono caratteri di incontrollata proliferazione , meccanismi di blocco della risposta immunitaria e di resistenza a farmaci specifici.
All’inizio degli anni ’80, le nuove scoperte nel campo dell’immunologia, della biologia cellulare, e della biologia molecolare hanno permesso ai ricercatori di comprendere meglio i meccanismi molecolari responsabili della trasformazione neoplastica delle cellule.
Di conseguenza sono stati identificati nuovi bersagli molecolari che possano essere colpiti con molecole chimiche o anticorpi monoclonali, che vanno a costituire l’armamentario della target therapy.
Le nuove discipline “omiche” come la genomica e la metabolomica sono fonti di informazioni per la pianificazione della medicina di precisione e personalizzata che ha mosso i primi passi concreti negli ultimi anni sia nelle diagnosi che nelle terapie, con la target therapy, terapia a bersaglio cellulare.
Tra queste, una delle più promettenti é certamente l’immunoterapia.
Un limite importante della chemioterapia antineoplastica è la sua mancanza di selettività: agendo su bersagli comuni a tutte le cellule, colpisce indiscriminatamente tutte le cellule che si riproducono velocemente, sia neoplastiche (effetto desiderato) sia normali (effetto indesiderato).
La target therapy è invece più selettiva verso il tumore, poiché colpisce bersagli soprattutto, e a volte esclusivamente, espressi dalle cellule tumorali e non da quelle sane, riducendo significativamente gli effetti collaterali.
Uno degli hallmarks del cancro è l’evasione da parte del tumore del sistema immunitario di sorveglianza, fino a convincerlo, rilasciando segnali, a collaborare con esso e non attaccarlo più.
Una branca della target therapy, quindi, si occupa di riattivare il sistema immunitario a combattere di nuovo il tumore ed è definita immunoterapia.
l sistema immunitario è capace di distinguere le cellule dell’organismo (self) dalle cellule estranee (non-self).
Per rispettare queste condizioni, l’azione dei linfociti T è mantenuta costantemente sotto il controllo di sofisticati meccanismi, conosciuti come checkpoint immunitari, che determinano quando un linfocita si debba attivare o meno.
Essi consistono in molecole e recettori per queste molecole che vengono espressi dalle cellule cellule T e che servono a placare la risposta immunitaria una volta che è “cessato il pericolo” (ad esempio dopo aver combattuto un’infezione da parte di un microrganismo).
Il tumore approfitta di queste molecole, rilasciandole e ingannando le cellule T che quindi smettono di attaccarlo.
Riferimenti bibliografici:
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